La saldatura è una lavorazione chiave del processo di costruzione dell’occhiale, fondamentale per la sua tenuta. Richiede grande impegno, precisione e anche inventiva per rispondere nel modo migliore alle esigenze strutturali ed estetiche dei progetti, soprattutto in quelli più originali.
Abbiamo intervistato Carmen Scopel e Roberta Licini, due esperte saldatrici di D.F. dove il “fatto a mano” è un mantra lungo tutto il processo produttivo, e ci hanno raccontato come affrontano questa delicata fase di lavorazione per costruire occhiali dal design originale, generalmente di fascia medio-alta.
Ciao Carmen e ciao Roberta, come avete iniziato e di cosa vi occupate di preciso?
Carmen: Sono entrata in D.F. ormai 27 anni fa. Mi sono sempre occupata di saldatura, anche se poi a seconda delle esigenze partecipo ad altre fasi di lavorazione, come ad esempio la piegatura o il taglio. Preferisco la saldatura alle altre lavorazioni e forse per questo la trovo anche più semplice. In realtà richiede molta manualità e grande impegno e precisione. Devi concentrarti tanto su ciò che stai facendo e prestare molta attenzione per evitare anche le minime sbavature.
Roberta: Io invece lavoro qui da ben 39 anni. Mi occupo di saldatura e campionatura. Serve davvero molta manualità. Proprio stamattina ho saldato dei nasetti letteralmente a mano, una cosa un po’ laboriosa che richiede mano ferma, esperienza e abilità. L’esperienza la fai col tempo, l’abilità invece la devi avere già nel tuo bagaglio. Io ho avuto la fortuna di avere persone in gamba che mi hanno insegnato; quando sono arrivata avevo 17 anni e mi è piaciuto subito perché per questo tipo di lavoro serve abilità artigiana.
In cosa consiste questa abilità artigiana?
Carmen: In D.F. non utilizziamo macchine automatizzate per la saldatura, facciamo tutto a mano. Usiamo macchinari molto semplici che ci lasciano grande libertà di movimento e di iniziativa, e che ci regoliamo personalmente, in totale autonomia. Qui non c’è il tecnico che imposta le macchine per tutti. Questa indipendenza ci consente di avere maggior margine di modifica e di controllo, di sistemare le misure se strada facendo notiamo che c’è qualcosa che non va. Possiamo lavorare con maggiore precisione e fare cose più difficili. Qui il “fatto a mano” è fondamentale, ci vuole molta manualità e dobbiamo metterci tanto del nostro.
Che vantaggi vi dà fare gran parte del lavoro manualmente?
Carmen: La macchina automatica limita la libertà del tecnico che la utilizza. Lavorando in modo completamente manuale, invece, ti puoi muovere come vuoi. E i tempi di lavorazione, per i tipi di lavori che realizziamo qui, sono addirittura più brevi. Infatti le macchine automatiche hanno comunque i loro tempi di lavorazione, e prima di poter tornare a intervenire sul pezzo, devi aspettare che il loro ciclo sia terminato.
Roberta: È proprio così. L’automatizzazione non va data per scontata. Ha i suoi tempi. Per i grossi ordini sarebbe meglio un sistema automatizzato, ma qui non sono molto frequenti: solitamente produciamo meno pezzi più curati. La nostra è una produzione un po’ di nicchia. Lavorando componenti per occhiali particolari, si fa prima con il metodo manuale e si ottengono anche migliori risultati. Però ci vogliono abilità ed esperienza.
Roberta Licini impegnata nella fase di saldatura. Nella prima foto in alto, Carmen Scopel.
Per i campioni o i prototipi come fate?
Carmen: Quando bisogna realizzare dei prototipi la faccenda si fa più complessa perché, molto spesso, non ci sono già sagome o impronte adeguate che possiamo utilizzare come appoggi per saldare. Dobbiamo un po’ inventarci una soluzione con i mezzi a disposizione, usando strumenti realizzati per altre produzioni o altri oggetti che possono fare al caso nostro. Poi per la produzione seriale costruiamo tutto quello che ci serve e, proprio grazie alle prove di saldatura fatte in prototipazione, siamo noi a fornire indicazioni su come realizzare impronte e sagome, rispetto ai punti da scaldare e a come i pezzi devono essere tenuti insieme.
Ci sono materiali più o meno difficili da saldare?
Carmen: Sì, il modo di saldare generalmente cambia a seconda del materiale. L’acciaio richiede di essere scaldato più tempo perché tenga, altrimenti al momento delle altre lavorazioni i pezzi si staccano. L’alpacca è invece un materiale un po’ più semplice da trattare, solitamente non c’è nessun problema, la saldatura è più veloce e fai più pezzi nello stesso tempo.
Roberta: Con l’acciaio dobbiamo usare un pasta più densa e alzare la temperatura piano piano, interrompendo la scaldata con il pedale anche otto volte. Con il bronzo invece bisogna stare attenti che il calore non vada in zone critiche altrimenti il materiale diventa tenero e l’asta si curva. L’abilità dell’operatore è indirizzare il calore solo in certi punti, un impegno anche mentale perché non puoi sgarrare, bisogna essere costanti durante tutto l’arco temporale della produzione. Con l’ottone invece, che è un buon conduttore di calore, bisogna stare attenti a non scottarsi perché tende a scaldarsi tutto l’occhiale.
Da quando avete cominciato, è cambiato molto il sistema produttivo?
Roberta: Per come lavoriamo noi, no. Proprio perché lavoriamo molto manualmente almeno per quel che riguarda la saldatura. Mentre per come il lavoro viene gestito, sì, è cambiato radicalmente. Oggi è tutto computerizzato, i disegni tecnici sono più ordinati, una volta avevamo i disegni fatti da noi raccolti in un album. Da questo punto di vista, ora c’è più precisione. L’artigianalità invece l’abbiamo mantenuta, le macchine di per sé non sono cambiate tanto, anzi, a volte sono meglio quelle più vecchie, alcune delle quali posso proprio dire di averle viste costruire qui dentro.
Quindi utilizzate attrezzature completamente personalizzate?
Roberta: Sì, il segreto di D.F. è stato costruirsi ciò di cui aveva bisogno. Sapere come e perché sono stati costruiti o modificati certi macchinari, per prevenire quali errori, mi ha aiutato molto, perché negli anni la lavorazioni già fatte, le sfide già superate, ritornano. Avere memoria dei problemi avuti trent’anni fa e di come li si sono risolti aiuta, e anche sapere come erano state modificate le macchine. Così si evita di commettere gli stessi errori; non si perde tempo e si parte con il piede giusto.
C’è qualche progetto che ricordate per la sua originalità e difficoltà realizzativa?
Roberta: Ricordo una saldatura molto particolare. Riguardava un’asta con degli strass che se veniva in contatto con la pasta che usiamo per saldare perdeva lucentezza. Oppure un’altra: una lamina molto sottile, disegnata tutta probabilmente a mano. C’era il rischio di romperla se la scaldavamo troppo e quindi di rovinare un pezzo che aveva anche certo valore. La lega saldante va sciolta solo sul punto esatto in cui serve e il tecnico deve scaldare con sensibilità il pezzo per non andare a rovinare il disegno. Con i sistemi automatici non potresti farlo. Noi dobbiamo essere pronti a comandare con la mano, con il piede e con la testa.
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