
La storia di Movitra pare scritta per un film. Due amici con lavori diversi passano qualche giorno al mare, ospiti da una amica. Una mattina, sugli scogli, gli occhiali dell’amica cadono. Neanche farlo apposta, proprio dalla parte delle lenti. È la regola della biscottata con la Nutella.
Non si tratta però della legge di Murphy. Il frontale di un paio di occhiali pesa più delle aste. È normale che cadano dalla parte delle lenti. Però allora, se non è questione di sfortuna, si può fare qualcosa per evitare che vada sempre a finire così?
Si accende l’idea e i due amici si buttano anima e corpo per cercare di realizzarla, avventurandosi in un settore completamente nuovo per entrambi, fino a creare un brand di alta gamma apprezzato in tutto il mondo.
All’inizio era soltanto un’idea
È tutto vero. A raccontarci la storia è Giuseppe Pizzuto che, assieme all’amico Filippo Pagliacci, ha fondato Movitra. «Abbiamo presentato la prima collezione al Mido 2016 ma lo sviluppo è cominciato chiaramente prima. Siamo partiti in tre, poi siamo rimasti solo io e Filippo. La prima collezione che abbiamo sviluppato era molto piccola, di soli tre modelli in acetato. All’inizio devo dire che era soltanto un’idea.»
L’idea era un nuovo sistema di chiusura, per cui l’occhiale ruota al centro e le due aste si chiudono una da una parte e una dall’altra delle lenti, proteggendole come in una sorta di guscio. L’occhiale chiuso, in più, diventa sottilissimo. Il nome del brand esprime a pieno quest’idea: «Il nome nasce dall’unione tra “movere” e “vitra”, movimento delle lenti. Il Latino perché comunque per noi l’Italia e il Made in Italy è un aspetto fondamentale.»
Arrivarci però non è stato semplice. «Diciamo che ci prendevano un po’ tutti per pazzi perché era una cosa del tutto nuova e molto complicata da realizzare. Quindi è stata una bella sfida, soprattutto all’inizio, riuscire per prima cosa a farci prendere sul serio, anche perché nessuno di noi veniva da questo mondo. Eravamo dei veri e propri outsiders; Filippo prima faceva il legale e aveva un’altra società nel settore della plastica, io invece lavoravo nella comunicazione, quindi comunque il mondo dell’occhialeria e tutto quello che gli ruota attorno ci era del tutto sconosciuto. Avevamo un’idea e volevamo realizzarla.»
Scena iniziale, spiaggia ligure
«L’idea nasce al mare da un amica di Filippo. In Liguria ci sono spiagge con i ciottoli, e gli ombrelloni hanno dei ripiani in cui appoggiare gli oggetti. Lei aveva appoggiato lì gli occhiali e nel prendere in braccio il figlio li ha urtati. Ovviamente sono caduti dalla parte delle lenti che si sono graffiate, e da lì abbiamo pensato, ci vorrebbe un’idea semplice, facile, per proteggere le lenti, perché questa è una cosa che succede quotidianamente a tutti.»
«Da lì è nata l’idea e abbiamo cominciato a svilupparla, prima buttando giù dei disegni, poi confrontandoci con lo studio che ci segue per la parte brevettuale per capire se era brevettabile e in che termini, se c’erano cose simili. Abbiamo visto che non c’era niente in questo senso e che c’era spazio per poter inserirsi.»
«Abbiamo fatto vari tentativi, varie prove e siamo arrivati poi invece a capire che dovevamo spostare il punto di rotazione. Non abbiamo brevettato il meccanismo, che funziona con una molla di spinta, un pistoncino ed un cubo. La forza del brevetto sta nel concetto della rotazione lungo la mezzeria del piano assiale della montatura dell’occhiale.»
Da Milano in Veneto alla ricerca di alleati
Nelle storie, solitamente, il protagonista compie un viaggio che lo porta ad acquisire competenze, strumenti ed alleati che lo aiutano a raggiungere il proprio scopo. Anche Giuseppe e Filippo a un certo punto hanno deciso di partire, armati di disegni e idee, alla ricerca di chi potesse aiutarli a realizzare i loro occhiali. «Ci siamo messi in macchina e siamo andati in Veneto. Avevamo fatto qualche stampa 3D, ma per testare la fattibilità a livello fisico e tecnico del meccanismo avevamo bisogno di qualcuno che ci aiutasse a realizzarlo.»
Arrivano così nel distretto dell’occhialeria bellunese, dove si concentra il 70% del mercato mondiale dell’occhialeria di fascia medio-alta (ne scrive Piera Anna Franini su Forbes https://forbes.it/2022/06/20/nel-distretto-dell-occhialeria-bellunese-tra-colossi-pmi-e-centri-di-ricerca/). Come da copione, però, l’idea all’inizio sembra irrealizzabile. O, all’opposto, talmente semplice che sembrava impossibile non esistessero già occhiali così. Un paradosso che rivela il carattere di ogni autentica innovazione.
«Diciamo che le prime reazioni quando presentavamo la nostra idea erano o “non si può fare” oppure “ma com’è che nessuno ci ha mai pensato prima?”. Eppure era proprio così, nessuno ci aveva mai pensato prima.» Filippo e Giuseppe non demordono e il distretto dell’occhialeria non delude le aspettative. Trovano chi ci vede lungo.
La sfida al vertice della manifattura mondiale
Per chi si deve confrontare con l’alta manifattura, il Made in Italy rimane una garanzia. «Costruiamo occhiali di alta gamma, quindi ci andiamo a confrontare con occhiali molto belli di alta manifattura e la maggior parte di questi sono giapponesi. La manifattura giapponese è riconosciuta a livello mondiale come la migliore per l’occhialeria. Ma noi siamo convinti che si possa realizzare un prodotto che non ha nulla da invidiare ai migliori prodotti giapponesi qui in Italia e uno dei nostri obiettivi è questo, al di là del meccanismo, al di là di tutto, ci teniamo proprio a puntare su questo, a realizzare un occhiale stratosferico, tutto fatto in Italia, perché poi il nostro occhiale è tutto fatto in Italia, in tutte le sue componenti, 100% made in Italy.»
Altro curioso paradosso, il Made in Italy è più riconosciuto all’estero che non in Italia. «In Italia siamo esterofili. Filippo lo dice sempre, se fossimo un brand di Los Angeles in Italia saremmo già esplosi. Essendo italiani, succede proprio l’inverso. Più ti allarghi, però, più il Made in Italy viene riconosciuto.»
Fare tutto in Italia consente a Giuseppe e Filippo di avere massimo controllo sul risultato: «Diciamo che farli in Giappone avrebbe degli altri vantaggi perché obiettivamente ci sono cose che i giapponesi sanno fare meglio, ad esempio le lavorazioni e le galvaniche sul titanio. Però nonostante questo preferiamo rinunciare a certe cose per rimanere qua.»
La soluzione tecnica come fattore identitario
L’innovativa soluzione tecnica di Movitra è la base a partire dalla quale Giuseppe e Filippo hanno sviluppato l’identità del loro brand. Un processo inverso rispetto ad altri marchi importanti. «Tanti brand nascono da un’ispirazione culturale, e si portano dietro molti aspetti e significati che rendono possibile la rapida costruzione di un’identità forte a livello di brand. Noi nasciamo da una idea tecnica, quindi è diverso. L’identità ce la siamo costruita nel tempo e abbiamo dovuto fare un lavoro di introspezione per arrivarci, ci siamo dovuti arrivare da un altro lato.»
Il percorso di Movitra è stato più lungo, ma ha reso possibile lo sviluppo di un prodotto unico. «Prima abbiamo dovuto risolvere tante problematiche del meccanismo: puoi avere un’idea bellissima però poi devi fare un’occhiale che deve stare bene in faccia e deve durare. Ora abbiamo il prodotto, identità e unicità.»
Un percorso in cui anche D.F. ha avuto e continua ad avere un ruolo importante: «Sono dei partner fondamentali per la nostra crescita. Con D.F. c’è stato un bel cambio a livello di design, perché abbiamo realizzato il ponte con al suo interno il meccanismo già integrato, direttamente con lo stampo. Una soluzione diversa da quanto facevamo prima e che ha dato all’occhiale una forte identità. Anche perché si tratta di un pezzo complesso che ha un meccanismo all’interno, delle sue geometrie e tolleranze molto basse. Non è una cosa semplice da fare e per noi è stato molto importante perché ha segnato il passaggio da un prodotto precedente, che aveva un’idea ma non un’identità, all’attuale famiglia di prodotti che ha sia un’idea che un’identità, un design.»
«Avere dei partner come D.F. che ti supportano nello sviluppo, soprattutto per un prodotto così tecnico come il nostro, è una cosa essenziale. Se non ce li hai, se fatichi a trovarli o faticano a starti dietro, i tempi si allungano e tutto diventa più complicato. Ci troviamo benissimo perché sono i migliori in quello che fanno. E lo sono perché amano accettare tutte le sfide progettuali che gli proponiamo. Amano questo genere di cose».
Giuseppe Pizzuto, Co-Founder e Creative Director di Movitra
DIAMO FORMA A CIÒ CHE STAI IMMAGINANDO
«Abbiamo un’idea» è una delle nostre frasi preferite, perché mette in moto il nostro meccanismo di creazione. Non esiste una strada tracciata, un percorso da seguire: il sentiero per arrivare al risultato desiderato, oltre le aspettative, lo creiamo insieme, unendo le nostre abilità tecniche alle tue idee migliori.
LAB è il nostro laboratorio, perfetto per chi nell’occhialeria d’eccellenza vuole spingersi oltre i limiti, creare e dare vita a qualcosa di unico.