C’è un momento magico in cui tutto ha inizio. E c’è spesso la convinzione che, in quel momento, un’idea giunga inaspettata come una casualità imprevedibile da un mondo ultraterreno.
Sembrerebbe che quanto più le si cerca, tanto più le idee tardino ad arrivare. Ma forse questo non è che un luogo comune perché, come ci ha raccontato Jeremy Baines, fondatore di TAVAT, dietro le idee ci sono persone curiose, che hanno voglia di conoscere e di sperimentare. Dietro le idee c’è un profondo interesse per la realtà.
L’incontro
L’avventura di Tavat, come ogni grande avventura, comincia con un incontro. Quello tra un venditore di occhiali e un professore di design all’università di Pasadena.
«Agli inizi lavoravo come venditore di occhiali. Avevo relazioni con grandi aziende, marchi eccezionali» ci racconta Jeremy. «È in questo periodo che sono diventato amico di Norman [Schureman, N.d.R.], professore di product design all’ArtCenter College of Design».
Tra i due nasce una grande amicizia, che nonostante la prematura scomparsa di Norman continua nel ricordo di Jeremy. «Era una persona fantastica. Ogni cosa che progettava aveva una funzione e una chiara immagine. A Norman piaceva disegnare occhiali, per lui era una delle sfide più complicate del design.»
L’ArtCenter è una sorta di hub del design, con decine di diversi percorsi di specializzazione. Un melting pot artistico e culturale, un crocevia per ogni diversa forma d’arte. Da qui sono passati e continuano a passare alcuni tra i più grandi maestri e talenti del design. «Un ambiente incredibile,» esclama Jeremy, «in cui mi sarebbe piaciuto lavorare, se solo l’avessi conosciuto prima!»
A caccia di idee
«Quando nel 2010 ho lanciato Tavat, volevo creare un marchio di eccellenza. A quei tempi dicevamo sempre che ci voleva qualcosa di unico, che tutti i migliori ottici del mondo avrebbero voluto avere. Così iniziammo a creare tante diverse product stories. Ogni progetto era una creazione unica e completamente nuova. Norman non prestava attenzione a quello che facevano i grandi gruppi del settore, e se ne veniva fuori con disegni di ogni tipo.»
Jeremy ci racconta che Norman prendeva le sue idee da qualsiasi cosa lo interessasse. E non se ne stava certo ad aspettare che fossero loro a decidere quando arrivare: «Per progettare la collezione di occhiali ispirata al mondo dell’aeronautica, ha passato una settimana su una portaerei, prendendo idee». È così che per Tactil, una delle prime collezioni di Tavat, prese spunto dal carrello d’atterraggio di un aereo.
Gli occhiali da aviatore dei “Flying Burritos”
L’idea di Soupcan invece, uno dei più iconici modelli di Tavat, Norman la trovò da un costruttore di aerei in Arizona, per cui aveva progettato un aereo da competizione. È qui che vide, appesi al muro, un paio di vecchi occhiali da aviatore che attirarono subito la sua attenzione. Erano stati trovati nel magazzino subito dopo la guerra. Appartenevano ad alcuni piloti di aerei agricoli, di quelli usati per spargere pesticidi sul granturco, e che nel weekend si esibivano in voli acrobatici. Si facevano chiamare “The Flying Burritos”.
«Si erano costruiti le loro maschere per volare, tagliando una lattina di zuppa, cucendo pelle intorno alle due sezioni per farle appoggiare bene al viso, incastrando poi delle lenti all’interno. Così Norman pensò che sarebbe stata unabella idea costruire occhiali come quelli».
In mente aveva occhiali composti da due metà di metallo, chiuse a sandwich. «Un modo completamente nuovo di costruire occhiali, e molto complicato. Generalmente il frontale di un paio di occhiali viene stampato a partire da una lastra di metallo, da cui si ricava la forma, poi fresata. Questo metodo permette un certo grado di precisione. Ma quando prendi due pezzi di metallo, li pieghi e poi li accoppi, tutto diventa molto più difficile.»
Dall’idea alla realtà
La difficoltà di realizzare questi occhiali era tanta: «Non sapevamo come fare, così sono andato in Giappone a proporre l’idea a una delle più importanti fabbriche di occhiali che conoscevo. Lavorarono su questo progetto per due anni, ma poi gettarono la spugna».
È in Italia che Jeremy trova il partner che lo aiuta a realizzare Soupcan, riuscendo nell’impresa in soli sei mesi. «Non c’era nessun altro che aveva la curiosità, l’interesse e la capacità di D.F. per riuscirci. Una fabbrica di solito vuole volumi. Loro invece sono aperti alle sfide.»
«La capacità del produttore è tutto. Ci sono poche fabbriche in cui è rimasta questa mentalità e in cui questi aspetti interessano anche alle nuove generazioni. Senza D.F., realizzare Soupcan, sarebbe stato impossibile.»
Ed è così che è nata questa collezione, che ha avuto negli anni un grande successo «e tutto grazie a Norman e alla sua curiosità, quando vide gli occhiali in quel piccolo aeroporto in Arizona.»
«Conosco D.F. stampi da una vita e ho sempre avuto una grande relazione con loro. Giovanni Franzoia ai miei tempi era molto conosciuto come stampatore. Fortunatamente i figli [Lara e Sergio Franzoia, N.d.R.] sono in grado di portare avanti l’azienda con lo stesso spirito dei genitori, e di affrontare così le questioni attuali dell’industria dell’occhiale. In D.F. c’è una qualità e capacità tecnica eccezionale, direi unica. Sono aperti alle sfide e interessati a trovare soluzioni insieme ai clienti.»
Jeremy Baines, fondatore di TAVAT